Pensione integrativa: quanto versare per pareggiare ultimo stipendio

Secondo una simulazione effettuata da Smileconomy, ecco quanto bisogna versare come pensione integrativa per ricevere l’ultimo stipendio.

aumento pensioni

“Che ne sarà di me dopo la pensione?”. Per chi si sta ponendo questo interrogativo, seguire i lavori della riforma fiscale, che dovrebbe adottare modifiche pure in ambito della previdenza complementare, ha senso entro certi limiti. Il fine dell’autorità legislativa è trasferire il carico delle tasse dalle plusvalenze annue alla prestazioni pensionistica (rendita o capitale), allineando il Belpaese al paradigma più comunemente adottato nel Vecchio Continente. Ma, a prescindere dalla formula e dalle aliquote stabilite, risparmiare attraverso la pensione integrativa, pensando alla vita che comincia una volta abbandonato il mondo del lavoro. resterà una strada obbligata.

Difatti, nel 2030, la pensione pubblica per i dipendenti ammonterà a una cifra compresa tra il 55 e il 65 per cento dell’ultima retribuzione, come ricorda al Corriere della Sera Andrea Carbone, fondatore di Smileconomy. Per i lavoratori autonomi la cifra sarà ancor più bassa, tra il 35 e il 45 per cento. Nel frattempo, tre italiani su quattro non versano i contributi spettanti alla previdenza complementari: laddove non cambiassero registro, non accederanno a un trattamento integrativo.

Del resto, pure chi ha aderito a un fondo pensione si intascherà poco. Dividendo, infatti, i 198 miliardi di euro – il patrimonio globalmente stimato da Covip a fine 2020 – per il totale degli iscritti, ovvero 8.445.170 unità, risultano 23.436 euro pro capite. Non granché, se l’intenzione è di predisporre una stampella affidabile all’assegno della previdenza pubblica, che sarà sempre più magro.

Pensione integrativa: lo scenario dei tre risparmiatori di 25, 35 e 45 anni

La morale? Chi non si prepara adeguatamente, rischia di scivolare in un precipizio assai poco piacevole, che da un giorno all’altro, una volta giunta la prima pensione, decurterà le entrate mensili di un importo variabile tra il 35 e il 65 per cento. Un taglio decisamente drastico da compromettere in parecchi casi la capacità di mantenere uno stile di vita analogo a quello sperimentato fino ad allora. In definitiva, resta da stabilire quanto sarebbe opportuno mettere da parte per integrare il trattamento pensionistico in modo da raggiungere un flusso di reddito complessivo pari all’ultima retribuzione percepita nel corso dell’attività lavorativa.

Smileeconomy lo ha calcolato, ipotizzando un reddito medio di 1.800 euro a fine carriera (in linea con le attuali retribuzioni medie), uguale per tre risparmiatori che attualmente hanno rispettivamente 25, 35 e 45 anni, e livelli differenti di stipendio, in crescita dell’1,5 per cento l’anno in media.

Per i prestatori d’opera dipendenti – asserisce Carbone – la pensione netta sarà pari a circa il 57 per cento dell’ultimo stipendio, ovvero poco più di 1.000 euro. Per i tre autonomi sarà inferiore di circa 100 euro. Tuttavia, sussiste una rilevante differenza. Nel caso preso in esame, gli autonomi avranno l’opportunità di lasciare il mondo del lavoro solo tre anni più avanti rispetto ai dipendenti poiché, per i profili analizzati, i contributi corrisposti non saranno sufficienti a disporre di uno dei requisiti fondamentali per accaparrarsi la pensione anticipata contributiva. Difatti, il regime in questione dà modo di uscire dal lavoro con tre anni d’anticipo rispetto al requisito anagrafico sancito per la pensione di vecchia, purché la pensione pubblica sia di almeno 1.288 euro lordi, pari a 2,8 volte l’assegno sociale (460 euro).

I versamenti da corrispondere ogni mese

Per aver modo di contare su una rendita integrativa vitalizia che permetterebbe di eguagliare l’ultimo stipendio, Smileconomy calcola versamenti compresi tra 211 e 800 euro, nel caso dei lavoratori dipendenti, e tra i 181 euro e i 660 euro, per gli autonomi. Per conseguire l’obiettivo, questi ultimi dovranno versare meno, ma per un orizzonte temporale più lungo di tre anni, in quanto la pensione pubblica sarà proporzionalmente più elevato, in virtù dei tre anni di prestazione d’opera aggiuntivi.

A quanto pare, maggiore è la distanza dal trattamento pensionistico, minore sarà l’esborso su base mensile. Da un lato perché il necessario capitale per integrare il montante contributivo può essere spalmato su un maggiore numero di mensilità. In secondo luogo, poiché è sulla lunga distanza che i mercati finanziari riescono a dimostrarsi un valido alleato, massimizzando i benefici della capitalizzazione composta.

In parole povere, ogni anno i rendimenti messi a segno incrementano la base di calcolo su cui maturano le performance future. La strategia è sempre la solita: occorre risparmiare il più possibile ed è è meglio cominciare il prima possibile. La regola vale a prescindere dall’esito della riforma fiscale.

Il caso di un neolaureato

In merito ai giovani, i neolaureati, rischia di rivelarsi gravoso per un 25enne versare i 211 euro mensili necessari a un dipendente per centrare l’obiettivo di un reddito complessivo, dopo il trattamento pensionistico, equivalente allo stipendio di fine carriera (1.800 euro netti). Il traguardo sarebbe meno irraggiungibile versando prima di entrare nel mondo del lavoro.

Ricordiamo che i contributi a fini previdenziali nei fondi pensione negoziali (quelli a cui hanno diritto di accedere unicamente i dipendenti delle varie categorie professionali), gli aperti, sottoscrivibili da chiunque, come i piani individuali pensionistici (Pip), sono deducibili fino a una soglia massima di 5.164 euro l’ano. E il bonus fiscale copre peraltro le somme corrisposte per soggetti fiscalmente a carico, oltre all’eventuale contributo del datore di lavoro. Ciò vuol dire che, se il genitore non raggiunge il tetto massimo di deducibilità, versando in un fondo pensione intestato al figlio, paga meno tasse.

In alternativa, il venticinquenne potrebbe ambire per un obiettivo meno ambizioso: quello di raggiungere l’80 per cento dell’ultimo stipendio, tra pensione pubblica e previdenza integrativa, equivalente all’assegno dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale incassato dai nostri genitori e nonni mediante il sistema di calcolo retributivo.

In tale circostanza, l’esborso mensile per il dipendente ammonterebbe sui 112 euro mensili, per una linea di rischio medio alto, e a 149 euro mensili qualora si opti per una linea conservativa, meno rischiosa e performante. Un autonomo della medesima età dovrebbe, rispettivamente, mettere da parte una cifra di 106 euro e 143 euro, ma sarebbe obbligato a corrisponderla per 3 anni e due mensilità in più, sicché, a differenza del dipendente, non avrà l’opportunità di anticipare il momento della pensione.

Pensione integrativa: le prospettive per un 45enne

Analizziamo a questo punto il caso di un 45enne con contratto di lavoro dipendente. Qualora ricorra a un fondo pensione obbligazionario, gli toccherebbe scucire quasi 800 euro ogni mese per poco meno di vent’anni allo scopo di assicurarsi una rendita integrativa vitalizia di circa 750 euro, da sommare alla pensione pubblico per giungere a un reddito netto complessivo di 1.800 euro (l’ultimo stipendio delle simulazioni effettuate).

La scelta di una linea bilanciata – 70 per cento in azioni, 30 per cento in bond – ridurrebbe a 681 euro l’esborso mensile. Per conseguire il medesimo livello reddituale una volta entrati in pensione, un autonomo della medesima età, a fronte di una pensione pubblica di circa 900 euro mensili, dovrebbe destinare una cifra tra i 555 euro e i 660 euro al mese alla previdenza integrativa, in base al profilo di rischio e rendimento del fondo pensione. Il corrispettivo mensile da riconoscere sarà inferiore a quello del dipendente, ma dovrà essere fatto per quasi 23 anni, tre in più, poiché nel caso preso a riferimento l’autonomo non avrà occasione di accedere alla pensione contributiva anticipata.

Oppure ci si può prefissare un obiettivo decisamente meno ambizioso: un’entrata mensile pari all’80 per cento dell’ultimo reddito conseguito, nella simulazione pari a 1.440 euro netti. Tradotto: una rendita vitalizia di 520 euro al mese. Si potrebbe ricevere con versamenti mensili di 331 euro, se si dispone per un fondo bilanciato, o 397 euro, con una linea conservativa. Il tempo e l’esposizione ai mercati azionari sono le due leve per orchestrare un piano per il futuro.

L’ipotesi del 35enne

Naturalmente, un artigiano o un libero professionista 35enne, con un analogo obiettivo previdenziale (1.440 euro mensili) debba versare un importo inferiore: tra i 185 euro e 235 euro mensili, in base al profilo del relativo fondo pensione. Il dipendente nato nello stesso anno dovrà, invece, corrispondere circa 20 euro in più al mese, ma in compenso metterà le mani sull’importo agognato in anticipo di tre anni, poiché avrà l’opportunità di lasciare prima il mondo del lavoro. E cosa succederebbe in caso di una eventuale morte prematura, prima che si materializzi il diritto al trattamento pensionistico? La posizione maturata (capitale più rendimento) verrà riscattata dagli eredi o dai beneficiari, al netto delle trattenute fiscali.

 

 

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