Riforma pensione: uscita a 58 e 63 anni quasi confermata

I termini della riforma pensione sembrano essere sul punto di trovare la tanto bramata conferma, con l’uscita a 58 anni e 63 anni.

quota 102

Da un lato prolungamento di almeno 12 mesi dell’Ape sociale, con l’ampliamento del bacino di beneficiari a ulteriori categorie di lavoratori impegnati in attività “gravose”. Dall’altro proroga secca di Opzione donna per un altro anno, che consentirebbe alle lavoratrici di andare in pensione con 58 anni d’età (59 se “autonome”) e 35 di versamenti usufruendo di un assegno totalmente “contributivo”. Ecco gli ultimi due interventi che andrebbero a completare la complessa riforma pensione post Quota 100. Un disegno che verrebbe completato dall’inedito sistema di Quote bocciato, tuttavia, nella notte tra martedì 26 e mercoledì 27 ottobre, a Palazzo Chigi dai sindacati, in pressione per una riforma organica con una flessibilità vera in uscita. Senza poi dimenticare la Lega, ancora in trattativa con il premier Mario Draghi e il ministero dell’Economia.

Riforma pensione: gli ultimi aggiornamenti

Alla luce di quanto appena riportato, appare evidente come l’accordo sulle pensioni, sia dentro sia fuori la maggioranza, deve tuttora essere raggiunto. L’ultima opzione presa in considerazione dai tecnici è stata “cucita” addosso al requisito fisso dei 41 anni di contributi, sulla falsariga della Quota 41 cara al partito di Matteo Salvini, secondo cui sarebbe possibile uscire dal mondo del lavoro una volta raggiunto il quarantesimo anno di contribuzione, indipendentemente dall’età anagrafica. L’iter sarà graduale, ma, come spiega Il Sole 24 Ore, si tornerà al sistema ordinario delle pensioni disposto dalla legge Fornero. Draghi lo ha ribadito nell’incontro con i sindacati a Palazzo Chigi, a 48 ore dal varo della manovra, attesa giovedì in Consiglio dei ministri. Si tratta di una doccia fredda, per Cgil, Cgil e Uil, che reclamavano a gran voce una riforma complessiva del sistema pensionistico.

Gli animi si sono soprattutto agitati nel momento in cui, trascorse poco meno di due ore, il premier ha lasciato il tavolo a causa di “un altro impegno” e affidato il confronto ai propri ministri. Non sono sufficienti neanche le garanzie sul percorso graduale di uscita da Quota 100 né l’annuncio dell’estensione di un anno dell’Ape sociale, con ampliamento ad altre categorie di lavori gravosi, e di Opzione donna. I sindacati scorgono “luci e ombre”, ma in definitiva sentono l’incontro non sia andato per il verso sperato, sicché manca l’accordo sulle pensioni e altresì sugli ammortizzatori sociali e sulla decurtazione delle tasse, che temono sbilanciato in favore delle imprese. Successivamente al varo della legge di bilancio, studieranno le modalità di una mobilitazione.

Il pomo della discordia

La quadra sulla manovra di Draghi si fa attendere. Principale pomo della discordia, il meccanismo volto a sostituire Quota 100, ma i partiti litigano pure sul modo in cui applicare gli 8 miliardi a disposizione per il taglio del cuneo fiscale: la decisione sarà presa durante l’iter in Parlamento della legge di bilancio. In merito ai sindacati, all’uscita da Palazzo Chigi, dopo tre ore di dialogo prima con Draghi, quindi con i ministri Brunetta, Franco e Orlando, i commenti sono decisamente duri. Luigi Sbarra (Cisl) ha segnalato notevoli squilibri e insufficienze, per via del mancato confronto con le parti sociali: le misure – ha proseguito – sono largamente insufficienti sia per le pensioni, che per gli ammortizzatori sociali e per la non autosufficienza.

A detta di Pierpaolo Bombardieri (Uil) 600 milioni non bastano, mentre Maurizio Landini (Cgil) parla di una riforma “non degna di questo nome”. Dunque, è previsto uno sciopero generale? Se giovedì l’esecutivo ribadirà tale impostazione – ha risposto Landini -, valuteranno iniziative unitarie di mobilitazione.

Ma i saldi della manovra, già indicata con il Documento programmatico di bilancioo presentato a Bruxelles, non possono cambiare, sostiene il Governo. Ciononostante, in seguito all’uscita di Draghi e i toni diventati via via più accesi, il ministro della semplificazione e della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, ha provato a fare da mediatore, spiegando che porterà al primo ministro lo studio di alcune proposte concrete, non escludendo neppure nuovi incontri. Il ministro ai segretari confederali conduce a una proposta di nuovi finanziamenti per la Pa.

Le idee sul tavolo

Relativamente alla fase transitoria post Quota 100, il Governo va avanti a promuovere un sistema graduale. Il Carroccio propone una mega-uscita a 63 o 64 anni nel solo 2022, per rimandare un piano più complessivo alla prossima legislatura. Ma – imputano i detrattori – consisterebbe in una misura “elettoralistica”. Ad avviso del ministro dell’Economia, Daniele Franco, occorre un meccanismo graduale, a partire dalla proposta di Quota 102 e Quota 104. Di rimando, Matteo Salvini ha allora invitato ad attuare Quota 41, sostenendo l’idea di fissare l’età minima di 62 anni, con 41 di contributi. Le prossime ore aiuteranno a raggiungere un accordo in maggioranza. Nel frattempo, il Pd incassa l’allargamento dell’Ape sociale ai gravosi e il prolungamento di Opzione donna, reclamata da ogni partito. Antonio Misiani chiede uno sforzo maggiore per i giovani, con una rivalutazione delle pensioni col contributivo al minimo.

Il premier Mario Draghi dovrebbe convocare il Consiglio dei ministri sulla legge di bilancio per giovedì e indire un’ulteriore riunione mercoledì, allo scopo di approvare il nuovo decreto Recovery, per accelerare la messa in atto di alcune norme e conseguire una serie di obiettivi.

 

 

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